Rischi e danni potenziali da integratori

 

 

LUDOVICA R. POGGI

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIV – 01 ottobre 2016.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: DISCUSSIONE /RECENSIONE]

 

La tendenza ad assumere una grande quantità di prodotti farmaceutici “da banco” senza passare per il parere del medico – un passaggio di civiltà in senso culturale e di rispetto razionale della competenza, in termini di buon senso – si è affermata anche nel nostro paese che, tanto vituperato per ogni sorta di vizio e difetto, aveva almeno la virtù di impiegare per l’uso di farmaci e rimedi la mediazione delle conoscenze scientifiche più avanzate e il ragionamento di valutazione più appropriato di una classe medica che, fino a 20-30 anni fa, era apprezzata e invidiata in molti paesi del mondo[1]. La forza del business internazionale e nazionale ha poi, come un fiume in piena, travolto le dighe del giudizio scientifico e abbattuto gli argini della ponderazione medica per il singolo caso e la specifica circostanza, mettendo direttamente a disposizione del “pubblico degli acquirenti” una pletora di prodotti dell’industria farmaceutica come fossero beni di largo consumo o merce alimentare.

In questa condizione generale, un caso particolare è costituito dall’incremento esponenziale dell’uso di quell’insieme eterogeneo di preparati che nei paesi di lingua inglese sono commercializzati col nome di dietary supplements o sport supplements e qui da noi sono detti “integratori alimentari” o semplicemente “integratori”. Non essendo considerati medicamenti, ovvero “sostanze che in dose appropriata risultano di giovamento ad un organismo ammalato”, secondo la definizione farmacologica, sono in libera vendita e, perciò, acquistati e consumati da chiunque voglia farlo, a propria discrezione, sulla base di informazioni generiche, spesso fornite dagli stessi produttori. Secondo quanto rilevato scientificamente negli USA, fotografando una realtà che probabilmente ha molti riscontri anche in Europa, gli eccessi sono frequenti non solo fra gli sportivi e in chi frequenta assiduamente una palestra, ma anche in chi si limita a fare jogging per tenersi in forma o cerca di combattere l’invecchiamento.

La stessa realizzazione di questi prodotti, che integrano ciò che si ritiene manchi o venga temporaneamente a mancare all’organismo, non nasce da un progetto strettamente legato agli studi di patologia molecolare, come classicamente avviene per la maggior parte dei farmaci-medicamento, e dunque non obbedisce ad un criterio medico di specificità desunta da profili epidemiologici, quadri disfunzionali e clinici di stati carenziali in rapporto alla tipologia fisiologica distinta per fasce di età, ma obbedisce ad un criterio di mercato che richiede la realizzazione di un prodotto vendibile al maggior numero di persone possibile. È istruttivo, in tal senso, riflettere assumendo il punto di vista del fisiologo e del medico sulla ratio che giustifica il senso dell’offerta di questi prodotti: la propaganda della maggior parte dei preparati venduti come integratori li presenta esaltandone la virtù di essere “completi e bilanciati”, come se le carenze o le perdite fossero sempre “complete e bilanciate”, cosa che tutt’al più si verifica per il sudore e i suoi costituenti nell’esercizio fisico protratto. È evidente che l’introduzione nell’organismo di qualunque cosa, al di fuori di cibo e bevande regolati dagli istinti di fame e sete, auspicabilmente congiunti a nozioni di buona educazione alimentare, dovrebbe essere valutata e decisa sulla base di un ragionamento fondato su solide conoscenze di fisiologia e sullo studio particolare dell’individuo in oggetto. Una tale affermazione, persino banale per il medico, di sicuro appare eccessivamente restrittiva a tutti coloro che considerano gli integratori alla stregua di alimenti, quali sono i prodotti farinacei, la carne, il pesce, le verdure e la frutta, della cui composizione biochimica qualitativa e delle cui proporzioni quantitative l’organismo umano ha fatto esperienza metabolico-genetica per millenni nel corso della sua evoluzione[2].

Le numerose ma frammentarie evidenze di rischi derivanti dall’uso incontrollato di questi dietary supplements hanno indotto  Louise Deldicque e Marc Francaux dell’Istituto di Neuroscienze dell’Università Cattolica di Lovanio (Belgio) a raccogliere la documentazione sperimentale più recente circa l’innocuità e la pericolosità degli integratori più noti e di quelli di più recente introduzione nell’uso da parte degli atleti, ed elaborare i dati in un’analisi finalizzata a fare il punto delle conoscenze attuali.

[Deldicque L. & Francaux M., Potential harmful effects of dietary supplements in sports medicine. Current Opinion in Clinical Nutrition & Metabolic Care – Epub ahead of print: Aug 23 (full article at journal website; PubMed PMID 27552474), 2016].

Da gennaio 2014 ad aprile 2016, come affermano gli autori dello studio nel presentare il materiale sul quale si è basato il loro lavoro, sono stati pubblicati circa 30 articoli in questo campo. Il dato più sorprendente emerso dalla revisione di questi studi riguarda il rilievo della presenza negli integratori di composti contaminanti farmacologicamente attivi, che sono costantemente e inconsapevolmente assunti da coloro che ne fanno uso. Vista la natura biochimica dei composti e i loro meccanismi d’azione è difficile supporre una contaminazione accidentale dovuta a imperizia e negligenze nel ciclo di lavoro; rimane forte e fondato il sospetto di un’aggiunta deliberata allo scopo di ottenere effetti farmacologici che potenzino i risultati attesi dall’impiego dell’integratore, per accrescere ed ampliare la vendita e la quantità di “clienti fidelizzati”.

I numeri rilevati da Deldicque e Francaux sono impressionanti: il 90% degli integratori esaminati contiene tracce di perturbatori endocrini estrogenici, e il 25% di questi presenta un tasso di attività estrogenica, ossia attività tipica degli ormoni sessuali femminili, più elevata del livello ritenuto accettabile in medicina. Circa il 50% degli integratori sono contaminati  – ossia si è rilevata la presenza non dichiarata del composto – da melamina, una rilevante fonte di azoto non proteico.

Da notare che, contestualmente, è stata raccolta una notevole messe di dati a sostegno dell’innocuità dell’ingestione di nitrati.

Negli ultimi due anni è stato indagato il rischio di tossicità di integratori emergenti, quali l’higenamina, che potrebbe essere impiegata per perdere peso, la creatina nitrato e l’acido guanidinacetico. Sebbene gli studi preliminari non abbiano rilevato nulla di preoccupante, è necessario, come osservano Deldicque e Francaux, proseguire nelle analisi perché in linea teorica non sono affatto escluse altre possibilità non vagliate di effetti non desiderati o tossici.

I dati ottenuti dallo studio dei singoli integratori, ordinariamente venduti come prodotti da banco che non richiedono ricetta medica, sembrano abbastanza rassicuranti circa l’uso nelle dosi raccomandate, tuttavia la presenza di vari contaminanti, oltre quelli ad effetto estrogenico, non può essere ignorata e probabilmente dovrebbero essere intraprese delle azioni legali nei confronti delle case produttrici per risolvere il problema. Gli autori dello studio, infatti, rilevano la contaminazione con molecole stimolanti, farmaci diuretici e composti anabolizzanti di vario genere.

Anche stante la teorica innocuità di singoli integratori, permangono i rischi di sovradosaggio e, soprattutto, i pericoli derivanti dall’interazione e dalla sommatoria di effetti nel caso, molto frequente fra gli sportivi, di contemporanea assunzione di vari prodotti.

Concludendo, si osserva che lo studio dei supplementi dietetici non è stato realizzato per caso in seno ad un istituto di neuroscienze: l’importanza dell’effetto placebo e l’influenza di stati psico-fisici e processi psicologici, sia sulle prestazioni in generale sia sui parametri assunti per la valutazione di efficacia, sono rilevanti e dovrebbero essere sempre ben presenti a tutti coloro che spesso affidano speranze e desideri di salute, successo e ringiovanimento a questi mezzi di straordinario profitto commerciale.

 

L’autrice della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza ed invita alla lettura degli scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Ludovica R. Poggi

BM&L-01 ottobre 2016

www.brainmindlife.org

 

 

 

 

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[1] Colpiva il numero di ricercatori italiani con ruoli di rilievo presso i National Institutes of Health (NIH) di Bethesda, la principale istituzione di ricerca biomedica che, oltre a finanziare la ricerca intramurale, con una percentuale dei fondi finanziava la ricerca in tutto il mondo. Negli USA era un luogo comune che l’Italia avesse ottimi medici, buoni ricercatori e pessimi ospedali, con qualche eccezione sempre legata a valori individuali.

[2] Si fa risalire in genere a circa dodicimila anni fa lo sviluppo di un’alimentazione basata su agricoltura ed allevamento e, pertanto, simile alla base naturale dell’alimentazione attuale. Tuttavia, per carne, pesce e frutta è intuibile una storia di alcuni miliardi di anni, precedendo l’epoca degli ominidi protoumani.